De Girolamo Giorgio
Doccia, allegoria delle contraddizioni
Ci sono infiniti momenti di piacere nelle nostre vite che non sempre riusciamo a riconoscere. Per me, fare una doccia calda è fra quei cento istanti che in una giornata restano immutabili, origine di sollievo e riflessione. Una doccia porta con sé le fatiche della monotonia quotidiana, pur facendone anch’essa parte.
Una doccia calda arrossisce la pelle, la percuote dolcemente; una doccia fredda tempra le nostre soglie del dolore, e un getto caldo, alternato a uno freddo, ci trasporta tra piacere e sofferenza. Perfino l’acqua tiepida, dopo quella fredda, può sembrarci calda, quasi una dignitosa offerta da accettare senza esitazioni.
La doccia è un diritto alla cura del proprio corpo, e allo stesso tempo un dovere da assolvere verso chi ci sta intorno, un’accortezza apprezzata dai più. È quindi quasi un rituale, un culto, un’entità che penseremmo essere patrimonio intrinseco dell’essere umano, possesso inalienabile.
Certi uomini fanno chilometri per potersi concedere un surrogato di doccia d’acqua torbida; altri, oppressi follemente, scambiano l’unico pezzo di pane concesso loro da uno spietato carceriere, per conservare la dignità personale espressa da una doccia, per non perdere quell’umanità che solo l’igiene e la presentabilità della propria persona possono dare. Perché una doccia è come un bel vestito.
Farsi una doccia, calda, significa abbandonarsi a un piacevole ozio che è al tempo stesso una necessità da soddisfare, un connubio tra piacere e dovere senza sindacazioni sulle priorità.
Farsi una doccia, calda, è indice di agiatezza, un enorme privilegio di cui, quando mi sento scivolare l’acqua sul corpo, distratto, mi rendo conto a pieno.
“Fare il bagno nella vasca è di destra, far la doccia invece è di sinistra” azzarda Gaber, ma forse è solo popolo, per una volta a buon diritto omogeneo nella sua multiformità. Fatte le debite eccezioni. Tolti quei barboni lasciati morire sui marciapiedi grigi. Tolti gli uomini, le donne e i bambini lasciati sulle barche in mezzo al mare. Tolti i detenuti delle carceri fatiscenti, ghigliottinabili miracolati da una legge buona. Tolto il resto del mondo che non ha la caldaia, o l’acqua corrente, e deve combattere per conquistarsi un briciolo della nostra dignità. Poi restano gli altri, quelli che hanno tre bagnoschiuma, due shampoo (uno anti-forfora e uno per la protezione della cute), e un balsamo rinvigorente al burro di karité. I privilegiati.
Fare la doccia resta, per me, privilegiato, un piccolo attimo di felicità.